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IV Domenica dopo il Martirio di s. Giovanni il Precursore

Ultimo Aggiornamento: 19/09/2009 16:59
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19/09/2009 16:59

Letture Rito Ambrosiano
 
1Re 19,4-8; Sal 33; 1Cor 11,23-26; Gv 6,41-51
 
 
 
IV Domenica dopo il Martirio di s. Giovanni il Precursore

LETTURA
Lettura del primo libro dei Re 19, 4-8

In quei giorni. Elia s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!». Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò. Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.

SALMO
Sal 33

® Il tuo pane, Signore, sostiene i poveri in cammino.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. ®

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce. ®

L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia. ®

EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 11, 23-26

Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 6, 41-51

In quel tempo. I Giudei si misero a mormorare contro il Signore Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Commento al Vangelo del 20 settembre
Gesù di Nazareth pane di vita
IV Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il precursore
18.09.2009
di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, Milano


Proviamo a metterci nei panni della gente di Nazareth. Per trent’anni hanno visto il figlio di Maria e di Giuseppe prima bambino, poi diventar grande con gli altri ragazzi del villaggio, lavorare nella bottega di suo padre Giuseppe il falegname. Questo Gesù ha condotto una vita assolutamente ordinaria ed ora quest’uomo dice: Sono disceso dal cielo e aggiunge parole misteriose: Io sono il pane della vita… Davvero difficile per la semplice gente di Nazareth accettare che quest’uomo non sia semplicemente un uomo come tutti gli altri, difficile accettare la sua “pretesa” d’essere singolare manifestazione di Dio, anzi figlio di Dio. La situazione della gente di Nazareth non è forse tanto diversa dalla nostra: anche noi tra poco prenderemo il pane frutto della terra e del lavoro del’uomo, pane come quello che troviamo sulla nostra tavola e questo pane ci sarà donato come corpo del Signore. Forse anche noi, come la gente di Nazareth fatichiamo ad accettare che una semplice ordinaria realtà umana come il pane sia più che pane, sia il corpo di Cristo. Qui siamo al centro vertiginoso della nostra fede: per incontrare Dio non dobbiamo salire nei cieli ma discendere nelle profondità dell’umano perché è sul volto di Gesù di Nazareth che possiamo ritrovare il volto di Dio, così nel pane, umile alimento quotidiano, possiamo riconoscere il corpo del Signore. Certo, solo la fede può dischiudere questo mistero irraggiungibile dalla nostra ragione eppure, se ci pensiamo, così vicino a noi. Perché facendo dell’umanità il luogo della sua presenza - il figlio di Maria Gesù di Nazareth è il figlio di Dio - legandosi indissolubilmente alla nostra umanità Dio conferisce proprio alla nostra carne umana, alla nostra condizione umana, il valore più alto.

La sacralità dell’essere umano

Non conosco altro modo per dire la dignità, anzi la sacralità di ogni essere umano. E ugualmente, facendo del pane, alimento quotidiano, il segno del suo corpo dato per noi, il Signore consacra la fatica del lavoro umano, riconosce la sacralità del pane quotidiano e quindi l’impegno perché ad ogni uomo sia assicurato il pane. Nella persona di Gesù così come nel pane che tra poco spezzeremo e condivideremo umano e divino si congiungono misteriosamente ma realmente. Ricordo, quando era ragazzino e servivo la messa il mio Parroco voleva che al momento dell’elevazione del pane e del vino il chierichetto non soltanto suonasse il campanello ma dicesse ad alta voce la professione di fede dell’apostolo Tommaso: Mio Signore mio Dio. Da allora non ho mai smesso di pronunciare queste parole e mentre alzo e presento il pane e il calice ripeto sottovoce Mio Signore e mio Dio. Eppure le mie mani toccano solo pane, nel calice vedo solo vino. Anche noi ricevendo sul palmo della mano il pane affermiamo la nostra fede con l’Amen: Sì, è il corpo di Cristo. Credo che questo piccolo pezzo di pane che è sul palmo della mia mano è il corpo di Cristo. Ma questo atto di fede nel corpo di Cristo non deve distogliere il nostro sguardo dal pane. Un antico testo cristiano esprime efficacemente l’inseparabile unità del pane quotidiano e del pane che è corpo del Signore: “Se qui all’altare condividiamo il pane che è corpo di Cristo, come non condivideremo il pane che è necessario per vivere?” Il discepolo che si nutre del pane che è corpo del Signore non può sottrarsi alla logica di condivisione fraterna che questo gesto esprime ed esige.

Il segno

La prima verità da ricordare davanti al pane posto sull’altare, pane frutto della terra e del lavoro dell’uomo, è il bisogno che stringe come una morsa gran parte dell’umanità. Prendendo il pane, il nostro elementare nutrimento, per farne il segno, il mezzo della sua presenza, del suo corpo dato per noi Gesù ci impedisce di distogliere il nostro sguardo dal bisogno di tanti, troppi nostri fratelli e ci stimola a vivere questa celebrazione domenicale come condivisione fraterna perché è comunione con lui, con la sua esistenza interamente data per noi e per tutti. La gente di Nazareth fu presa da stupore quando avvertì nel giovane figlio di Maria e di Giuseppe il falegname nelle sue parole e nei suoi gesti una misteriosa, sovrumana presenza. Chiediamo anche per noi, forse assuefatti dall’abitudine, eguale stupore: l’umile nutrimento del pane è corpo del Signore. Basta dire: Amen, sì, credo. Di questa fede vorrei evocare l’intensa testimonianza di don Carlo Gnocchi. Il prossimo 25 ottobre la Chiesa lo proclamerà beato, uomo che ha vissuto in modo integrale, radicale l’evangelo. Descrivendo la tragica ritirata di Russia, don Carlo era cappellano degli Alpini, scrive: “Il cappellano parla al suo grande Compagno…. e quando la domanda si fa più pressante, la gioia più intensa, il dolore più fondo, la mano corre istintivamente alla piccola custodia che racchiude il pane eucaristico, racchiude Cristo… Così vai e non sai bene se sia Lui che ti porta o tu che porti Lui… Quando nelle notti passate all’addiaccio, immense e rotte dagli incubi, hai la fortuna di portare Cristo, Egli ti si addormenta leggermente sul cuore”.
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