IV Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il precursore
18.09.2009di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, MilanoProviamo a metterci nei panni della gente di Nazareth. Per trent’anni hanno visto il figlio di Maria e di Giuseppe prima bambino, poi diventar grande con gli altri ragazzi del villaggio, lavorare nella bottega di suo padre Giuseppe il falegname. Questo Gesù ha condotto una vita assolutamente ordinaria ed ora quest’uomo dice: Sono disceso dal cielo e aggiunge parole misteriose: Io sono il pane della vita… Davvero difficile per la semplice gente di Nazareth accettare che quest’uomo non sia semplicemente un uomo come tutti gli altri, difficile accettare la sua “pretesa” d’essere singolare manifestazione di Dio, anzi figlio di Dio. La situazione della gente di Nazareth non è forse tanto diversa dalla nostra: anche noi tra poco prenderemo il pane frutto della terra e del lavoro del’uomo, pane come quello che troviamo sulla nostra tavola e questo pane ci sarà donato come corpo del Signore. Forse anche noi, come la gente di Nazareth fatichiamo ad accettare che una semplice ordinaria realtà umana come il pane sia più che pane, sia il corpo di Cristo. Qui siamo al centro vertiginoso della nostra fede: per incontrare Dio non dobbiamo salire nei cieli ma discendere nelle profondità dell’umano perché è sul volto di Gesù di Nazareth che possiamo ritrovare il volto di Dio, così nel pane, umile alimento quotidiano, possiamo riconoscere il corpo del Signore. Certo, solo la fede può dischiudere questo mistero irraggiungibile dalla nostra ragione eppure, se ci pensiamo, così vicino a noi. Perché facendo dell’umanità il luogo della sua presenza - il figlio di Maria Gesù di Nazareth è il figlio di Dio - legandosi indissolubilmente alla nostra umanità Dio conferisce proprio alla nostra carne umana, alla nostra condizione umana, il valore più alto.
La sacralità dell’essere umano
Non conosco altro modo per dire la dignità, anzi la sacralità di ogni essere umano. E ugualmente, facendo del pane, alimento quotidiano, il segno del suo corpo dato per noi, il Signore consacra la fatica del lavoro umano, riconosce la sacralità del pane quotidiano e quindi l’impegno perché ad ogni uomo sia assicurato il pane. Nella persona di Gesù così come nel pane che tra poco spezzeremo e condivideremo umano e divino si congiungono misteriosamente ma realmente. Ricordo, quando era ragazzino e servivo la messa il mio Parroco voleva che al momento dell’elevazione del pane e del vino il chierichetto non soltanto suonasse il campanello ma dicesse ad alta voce la professione di fede dell’apostolo Tommaso: Mio Signore mio Dio. Da allora non ho mai smesso di pronunciare queste parole e mentre alzo e presento il pane e il calice ripeto sottovoce Mio Signore e mio Dio. Eppure le mie mani toccano solo pane, nel calice vedo solo vino. Anche noi ricevendo sul palmo della mano il pane affermiamo la nostra fede con l’Amen: Sì, è il corpo di Cristo. Credo che questo piccolo pezzo di pane che è sul palmo della mia mano è il corpo di Cristo. Ma questo atto di fede nel corpo di Cristo non deve distogliere il nostro sguardo dal pane. Un antico testo cristiano esprime efficacemente l’inseparabile unità del pane quotidiano e del pane che è corpo del Signore: “Se qui all’altare condividiamo il pane che è corpo di Cristo, come non condivideremo il pane che è necessario per vivere?” Il discepolo che si nutre del pane che è corpo del Signore non può sottrarsi alla logica di condivisione fraterna che questo gesto esprime ed esige.
Il segno
La prima verità da ricordare davanti al pane posto sull’altare, pane frutto della terra e del lavoro dell’uomo, è il bisogno che stringe come una morsa gran parte dell’umanità. Prendendo il pane, il nostro elementare nutrimento, per farne il segno, il mezzo della sua presenza, del suo corpo dato per noi Gesù ci impedisce di distogliere il nostro sguardo dal bisogno di tanti, troppi nostri fratelli e ci stimola a vivere questa celebrazione domenicale come condivisione fraterna perché è comunione con lui, con la sua esistenza interamente data per noi e per tutti. La gente di Nazareth fu presa da stupore quando avvertì nel giovane figlio di Maria e di Giuseppe il falegname nelle sue parole e nei suoi gesti una misteriosa, sovrumana presenza. Chiediamo anche per noi, forse assuefatti dall’abitudine, eguale stupore: l’umile nutrimento del pane è corpo del Signore. Basta dire: Amen, sì, credo. Di questa fede vorrei evocare l’intensa testimonianza di don Carlo Gnocchi. Il prossimo 25 ottobre la Chiesa lo proclamerà beato, uomo che ha vissuto in modo integrale, radicale l’evangelo. Descrivendo la tragica ritirata di Russia, don Carlo era cappellano degli Alpini, scrive: “Il cappellano parla al suo grande Compagno…. e quando la domanda si fa più pressante, la gioia più intensa, il dolore più fondo, la mano corre istintivamente alla piccola custodia che racchiude il pane eucaristico, racchiude Cristo… Così vai e non sai bene se sia Lui che ti porta o tu che porti Lui… Quando nelle notti passate all’addiaccio, immense e rotte dagli incubi, hai la fortuna di portare Cristo, Egli ti si addormenta leggermente sul cuore”.