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Domenica VII dopo il martirio di S. Giovanni il precursore

Ultimo Aggiornamento: 10/10/2009 13:58
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10/10/2009 13:58

Commento al Vangelo dell’11 ottobre
La pazienza di Dio
VII Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il precursore
09.10.2009
di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, Milano


Continua, anche in questa domenica, la rivelazione del Regno di Dio, ovvero del suo volto, attraverso le parabole: oggi la parabola del buon seme e della zizzania. L’Evangelo non è solo una parola, è seme buono seminato nel campo. Il seme possiede una forza, una energia, una potenza capace di far crescere le spighe del grano. Così anche la Parola di Dio. Viene alla mente la parola di quel centurione che dice a Gesù: “Comanda con una parola e il mio servo sarà guarito” (Lc 7,7). Quest’uomo, un pagano, non un figlio di Abramo, manifesta una fede incondizionata nell’efficacia della parola di Gesù.
Il buon grano cresce e matura nel campo, nonostante la zizzania che tenta di soffocarlo. Questa erba infestante evoca, drammaticamente, la presenza del male nei solchi del mondo. Senza cedere al pessimismo l’Evangelo non ci offre però una lettura “rosa” della vicenda umana. In essa agisce il nemico, il maligno, il diavolo: nomi diversi per indicare la presenza del demoniaco che infesta il campo nel quale è stato seminato il buon grano. Nomi diversi perché varia, cangiante è la presenza del male nel mondo, molteplici i volti con i quali si mostra. Ma la parabola racchiude un altro, confortante messaggio: quello della pazienza di Dio che dà all’uomo il tempo della conversione. Ai servi troppo zelanti, forse perché in colpa per non aver vegliato e consentito così al nemico di infestare il campo con i semi della zizzania, non è permesso sradicare la zizzania, non è permesso farsi giudici separando bene da male: il giudizio appartiene solo a Dio che lo eserciterà a suo tempo. Nel tempo, nella storia, così come nel cuore dell’uomo, buon grano e zizzania convivono, la pazienza di Dio dà ad ognuno di noi tempo, tempo per coltivare il buon seme pur nella infestante presenza del male, della zizzania.

La zizzania e il buon grano

In ognuno di noi bene e male convivono, buon grano e zizzania. Anche nella comunità dei discepoli di Gesù, la sua santa Chiesa, grano e zizzania crescono insieme: non è la Chiesa una comunità di soli giusti, di puri, proprio come il campo evangelico nei suoi solchi fiorisce il bene ma purtroppo mette radice anche il male. Riconoscerlo è il primo passo per vincerlo. Per questo ci ricorda il Concilio “la chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, mai tralascia la penitenza e il suo rinnovamento” (Lumen gentium 8). Tra i gesti davvero memorabili del pontificato di Giovanni Paolo II bisogna ricordare la pubblica, solenne confessione delle colpe dei figli della Chiesa che il Papa volle la prima domenica di Quaresima dell’anno giubilare 2000. “Alla fine di questo millennio - ha detto il Papa si deve fare un esame di coscienza: dove stiamo, dove Cristo ci ha portati, dove noi abbiamo deviato dal vangelo”. E nella Bolla di indizione del Giubileo scriveva: “Come successore di Pietro chiedo che in questo anno di misericordia, la Chiesa si inginocchi davanti a Dio ed implori il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli” (n. 11). Già la Lettera apostolica Tertio Millennio adveniente del 1994 affermava: “La Chiesa non può varcare la soglia del nuovo millennio senza spingere i suoi figli a purificarsi nel pentimento, da errori, infedeltà, incoerenze, ritardi”.

Chiesa dei peccatori

Il gesto penitenziale di Giovanni Paolo II è in profonda continuità con l’immagine di Chiesa che il Concilio Vaticano II ha proposto. Chiesa “peregrinante”, Chiesa che “già sulla terra è adornata di vera santità anche se imperfetta” (Lumen Gentium, 48). Per questo “la Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, mai tralascia la penitenza e il suo rinnovamento” (LG, 8). Alla luce di questo gesto del Papa comprendiamo la gloria e la debolezza della Chiesa. Contempliamo la sua gloria, perché la luce di Cristo risplende sul volto della Chiesa (LG, 1) e la sua debolezza perché essa “porta la figura fugace di questo mondo e vive tra le creature” (LG,48). Contro tutte le tendenze fanatiche che pensano una Chiesa riservata ai puri, ai giusti, la fede cattolica che non dimentica d’essere il campo evangelico dove crescono insieme buon grano e zizzania, non ha mai accettato di estromettere dal proprio grembo materno quanti, con il peccato, hanno smarrito la grazia battesimale. Già nel 418 il Concilio di Cartagine affermò che la preghiera con la quale riconosciamo i nostri peccati è espressione della nostra vera condizione e non solo segno di umiltà. La Chiesa che prega: “Rimetti a noi i nostri debiti”, dice la sua condizione di Chiesa dei peccatori. La pazienza di Dio è lo spazio della nostra conversione.
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