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Domenica VII dopo il martirio di S. Giovanni il precursore

Ultimo Aggiornamento: 10/10/2009 13:58
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10/10/2009 13:44

Letture Rito Ambrosiano
 
Is 43,10-21; Sal 120; 1Cor 3,6-13; Mt 13,24-43
 
 
 
LETTURA
Lettura del profeta Isaia 43, 10-21

«Voi siete i miei testimoni – oracolo del Signore – / e il mio servo, che io mi sono scelto, / perché mi conosciate e crediate in me / e comprendiate che sono io. / Prima di me non fu formato alcun dio / né dopo ce ne sarà. / Io, io sono il Signore, / fuori di me non c’è salvatore. / Io ho annunciato e ho salvato, / mi sono fatto sentire / e non c’era tra voi alcun dio straniero. / Voi siete miei testimoni – oracolo del Signore – / e io sono Dio, / sempre il medesimo dall’eternità. / Nessuno può sottrarre nulla al mio potere: / chi può cambiare quanto io faccio?». / Così dice il Signore, / vostro redentore, il Santo d’Israele: / «Per amore vostro l’ho mandato contro Babilonia / e farò cadere tutte le loro spranghe, / e, quanto ai Caldei, muterò i loro clamori in lutto. / Io sono il Signore, il vostro Santo, / il creatore d’Israele, il vostro re». / Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare / e un sentiero in mezzo ad acque possenti, / che fece uscire carri e cavalli, / esercito ed eroi a un tempo; / essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, / si spensero come un lucignolo, sono estinti: / «Non ricordate più le cose passate, / non pensate più alle cose antiche! / Ecco, io faccio una cosa nuova: / proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? / Aprirò anche nel deserto una strada, / immetterò fiumi nella steppa. / Mi glorificheranno le bestie selvatiche, / sciacalli e struzzi, / perché avrò fornito acqua al deserto, / fiumi alla steppa, / per dissetare il mio popolo, il mio eletto. / Il popolo che io ho plasmato per me / celebrerà le mie lodi».

SALMO
Sal 120

® Il Signore custodisce la vita del suo popolo.
Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore:
egli ha fatto cielo e terra. ®

Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà, non prenderà sonno
il custode d’Israele.
Il Signore è il tuo custode,
il Signore è la tua ombra
e sta alla tua destra. ®

Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.
Il Signore ti custodirà da ogni male:
egli custodirà la tua vita.
Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri,
da ora e per sempre. ®

EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 3, 6-13

Fratelli, io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Matteo 13, 24-43

In quel tempo. Il Signore Gesù espose ai suoi discepoli un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”». Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata». Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: / «Aprirò la mia bocca con parabole, / proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo». Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».
10/10/2009 13:58

Commento al Vangelo dell’11 ottobre
La pazienza di Dio
VII Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il precursore
09.10.2009
di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, Milano


Continua, anche in questa domenica, la rivelazione del Regno di Dio, ovvero del suo volto, attraverso le parabole: oggi la parabola del buon seme e della zizzania. L’Evangelo non è solo una parola, è seme buono seminato nel campo. Il seme possiede una forza, una energia, una potenza capace di far crescere le spighe del grano. Così anche la Parola di Dio. Viene alla mente la parola di quel centurione che dice a Gesù: “Comanda con una parola e il mio servo sarà guarito” (Lc 7,7). Quest’uomo, un pagano, non un figlio di Abramo, manifesta una fede incondizionata nell’efficacia della parola di Gesù.
Il buon grano cresce e matura nel campo, nonostante la zizzania che tenta di soffocarlo. Questa erba infestante evoca, drammaticamente, la presenza del male nei solchi del mondo. Senza cedere al pessimismo l’Evangelo non ci offre però una lettura “rosa” della vicenda umana. In essa agisce il nemico, il maligno, il diavolo: nomi diversi per indicare la presenza del demoniaco che infesta il campo nel quale è stato seminato il buon grano. Nomi diversi perché varia, cangiante è la presenza del male nel mondo, molteplici i volti con i quali si mostra. Ma la parabola racchiude un altro, confortante messaggio: quello della pazienza di Dio che dà all’uomo il tempo della conversione. Ai servi troppo zelanti, forse perché in colpa per non aver vegliato e consentito così al nemico di infestare il campo con i semi della zizzania, non è permesso sradicare la zizzania, non è permesso farsi giudici separando bene da male: il giudizio appartiene solo a Dio che lo eserciterà a suo tempo. Nel tempo, nella storia, così come nel cuore dell’uomo, buon grano e zizzania convivono, la pazienza di Dio dà ad ognuno di noi tempo, tempo per coltivare il buon seme pur nella infestante presenza del male, della zizzania.

La zizzania e il buon grano

In ognuno di noi bene e male convivono, buon grano e zizzania. Anche nella comunità dei discepoli di Gesù, la sua santa Chiesa, grano e zizzania crescono insieme: non è la Chiesa una comunità di soli giusti, di puri, proprio come il campo evangelico nei suoi solchi fiorisce il bene ma purtroppo mette radice anche il male. Riconoscerlo è il primo passo per vincerlo. Per questo ci ricorda il Concilio “la chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, mai tralascia la penitenza e il suo rinnovamento” (Lumen gentium 8). Tra i gesti davvero memorabili del pontificato di Giovanni Paolo II bisogna ricordare la pubblica, solenne confessione delle colpe dei figli della Chiesa che il Papa volle la prima domenica di Quaresima dell’anno giubilare 2000. “Alla fine di questo millennio - ha detto il Papa si deve fare un esame di coscienza: dove stiamo, dove Cristo ci ha portati, dove noi abbiamo deviato dal vangelo”. E nella Bolla di indizione del Giubileo scriveva: “Come successore di Pietro chiedo che in questo anno di misericordia, la Chiesa si inginocchi davanti a Dio ed implori il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli” (n. 11). Già la Lettera apostolica Tertio Millennio adveniente del 1994 affermava: “La Chiesa non può varcare la soglia del nuovo millennio senza spingere i suoi figli a purificarsi nel pentimento, da errori, infedeltà, incoerenze, ritardi”.

Chiesa dei peccatori

Il gesto penitenziale di Giovanni Paolo II è in profonda continuità con l’immagine di Chiesa che il Concilio Vaticano II ha proposto. Chiesa “peregrinante”, Chiesa che “già sulla terra è adornata di vera santità anche se imperfetta” (Lumen Gentium, 48). Per questo “la Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, mai tralascia la penitenza e il suo rinnovamento” (LG, 8). Alla luce di questo gesto del Papa comprendiamo la gloria e la debolezza della Chiesa. Contempliamo la sua gloria, perché la luce di Cristo risplende sul volto della Chiesa (LG, 1) e la sua debolezza perché essa “porta la figura fugace di questo mondo e vive tra le creature” (LG,48). Contro tutte le tendenze fanatiche che pensano una Chiesa riservata ai puri, ai giusti, la fede cattolica che non dimentica d’essere il campo evangelico dove crescono insieme buon grano e zizzania, non ha mai accettato di estromettere dal proprio grembo materno quanti, con il peccato, hanno smarrito la grazia battesimale. Già nel 418 il Concilio di Cartagine affermò che la preghiera con la quale riconosciamo i nostri peccati è espressione della nostra vera condizione e non solo segno di umiltà. La Chiesa che prega: “Rimetti a noi i nostri debiti”, dice la sua condizione di Chiesa dei peccatori. La pazienza di Dio è lo spazio della nostra conversione.
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