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Dedicazione del Duomo di Milano, chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani -

Ultimo Aggiornamento: 17/10/2009 14:14
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17/10/2009 14:14

Commento al Vangelo del 18 ottobre
Una festa per tutti
Dedicazione del Duomo di Milano
16.10.2009
di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, Milano


Il 20 ottobre 1577 san Carlo consacrava il nostro Duomo: da allora la terza domenica di ottobre è festa della dedicazione ovvero della consacrazione del Duomo. I lavori erano iniziati intorno al 1386 e saranno conclusi con la facciata solo nel 1814. Più di quattrocento anni per quella che giustamente i milanesi chiamano la “fabbrica del Duomo”.
Davvero non è possibile pensare Milano senza il suo Duomo. Basta dare un’occhiata alla pianta della città costruita su quattro cerchi concentrici: la cerchia dei Navigli, quella delle Mura spagnole e delle Porte, quella dei grandi viali periferici, pensiamo a viale Romagna, e infine la Tangenziale. Il centro di questi quattro cerchi è il Duomo e la sua piazza e infatti gli eventi decisivi per la vita della città, siano essi religiosi o politici, sportivi o spettacolari hanno nella piazza del Duomo il loro spazio naturale.
Questa festa della chiesa cattedrale ci invita a riflettere sulla chiesa diocesana. Quando diciamo “chiesa” istintivamente il nostro pensiero corre a Roma, alla basilica di san Pietro. Nell’immaginario collettivo quella sarebbe la chiesa per eccellenza con le sue filiali, le diocesi e le relative chiese cattedrali nelle diverse città di tutto il mondo. Quando diciamo “chiesa” il pensiero corre istintivamente al papa Benedetto, vescovo di Roma che invierebbe i vescovi quali suoi rappresentanti nelle diverse diocesi o chiese locali. Questo modo di considerare la chiesa diocesana come propaggine o filiale periferica di una chiesa centrale, quella romana, non è corretto. I vescovi non sono come i Prefetti che il governo centrale invia a presidiare il territorio. La chiesa si realizza anzitutto e pienamente là dove un vescovo, successore degli Apostoli, raduna una comunità con l’annuncio dell’Evangelo e con la celebrazione dell’eucaristia. Allora lì nasce la chiesa nella sua pienezza, non una succursale, una propaggine, una filiale, una agenzia periferica dell’amministrazione centrale.

Fieri della nostra chiesa

Come scrive il Concilio: “In queste comunità, le diocesi, sebbene spesso piccole e povere e disperse è presente Cristo, per virtù del quale si raccoglie la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica” (Lumen gentium 26). Per noi che viviamo in questo territorio la Chiesa è questa santa chiesa ambrosiana. Chiesa di Dio che è a Milano, secondo una dizione antica e che efficacemente esprime il realizzarsi del mistero della chiesa in un determinato luogo. Certo la chiesa diocesana non deve vivere nell’autosufficienza o nell’isolamento ma solo nella comunione con tutte le altre chiese e anzitutto con quella di Roma, sede di Pietro e dei suoi successori.
Oggi siamo fieri di appartenere a questa grande chiesa milanese, alla sua tradizione religiosa resa grande da straordinarie figure di Pastori come Ambrogio e Carlo, come i cardinali Ferrari, Schuster, Montini, Colombo e Martini. Dobbiamo esser fieri d’avere oggi come pastore il cardinale Dionigi Tettamanzi.
Della pagina evangelica che la liturgia ci propone sottolineo sei verbi che descrivono l’atteggiamento del pastore, quello delle pecore e infine la qualità della relazione tra pastore e pecore. Per noi ormai inesorabilmente lontani dalla civiltà agro-pastorale questa suggestiva metafora pastore-pecore rischia d’essere sempre meno evocativa o peggio suggerisce atteggiamenti niente affatto apprezzabili. Dire di un insieme di persone che è gregge comporta una connotazione francamente sgradevole. Gregge è per noi sinonimo di passività, di piatto conformismo, di assenza di iniziativa. E anche la pecora evoca caratteristiche piuttosto sgradevoli. Dire allora della chiesa come gregge rischia di suggerire tutte quelle caratteristiche passive, gregarie che certo non fanno piacere. Ricordo mio padre che era solito ripetere: meglio un giorno da leoni che cento da pecora.

Il Pastore dà la vita

Ma se ci lasciamo guidare dai verbi di questo testo evangelico scopriamo che la relazione pastore-gregge è relazione densa di valore, niente affatto passiva e gregaria ma intensa e coinvolgente. Il Pastore conosce le pecore e dà loro la vita. Sappiamo come nel linguaggio della Bibbia conoscere sia verbo della relazione più intensa e coinvolgente dell’uomo e della donna, relazione che non mette in gioco solo l’intelligenza ma tutta la persona compreso il suo corpo. Esser conosciuti dal pastore vuol dire entrare in una relazione che ci coinvolge interamente con tutte le fibre della nostra umanità. Dio ci conosce come un uomo conosce la sua donna perché ha con lei una comunione di vita totale, senza riserve. E il Pastore conosce fino a dare la vita. Questa è la caratteristica del Pastore a differenza del mercenario. E le pecore ascoltano e seguono. Non semplicemente vanno dietro, ma ascoltano, cioè accolgono attivamente, consapevolmente. Non c’è niente di passivo e di gregario nel comportamento di questo gregge. Un gregge intelligente. L’ascolto è il primo atteggiamento del credente. Non a caso la preghiera più cara alla tradizione ebraica inizia proprio con questo imperativo: Ascolta Israele (Dt 6,4ss). E le pecore seguono, un verbo questo che indica la sequela, la libera scelta di rispondere alla chiamata e così diventar discepoli. E infine questa relazione di reciprocità tra pastore e pecore crea una appartenenza che niente potrà distruggere, nessuno potrà rapire le pecore dalla mano del pastore al quale sono affidate.
Questa stupenda avventura d’esser conosciuti da Dio, ascoltarne le parole e seguirlo è stata possibile e continua ad esserlo per noi proprio grazie a questa santa chiesa ambrosiana, alla sua secolare storia di fede, agli uomini e alle donne che qui, nel grembo di questa madre chiesa, hanno accolto e trasmesso l’Evangelo, lo hanno vissuto e come materializzato nella stupenda “fabbrica del Duomo”.
C’è un modo di dire tipicamente milanese: quando un’opera, per esempio la costruzione di un edificio va per le lunghe e non finisce mai si dice che è come la fabbrica del Duomo. E questo è vero per il Duomo sempre in perenne restauro. Ma anche la costruzione della chiesa-comunità dei credenti è un vera e propria “fabbrica del Duomo”, un impegno per ogni generazione e per ognuno di noi.
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