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Dedicazione del Duomo di Milano, chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani -

Ultimo Aggiornamento: 17/10/2009 14:14
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17/10/2009 14:14

Letture Rito Ambrosiano
 
Is 26,1-2.4.7-8;54,12-14a [Ap 21,9a.c-27]; Sal 67; 1Cor 3,9-17; Gv 10,22-30
 
 
 
Dedicazione del Duomo di Milano, chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani -
Solennità del Signore


LETTURA
Lettura del profeta Isaia 26, 1-2. 4. 7-8; 54, 12-14a

In quel giorno si canterà questo canto nella terra di Giuda: / «Abbiamo una città forte; / mura e bastioni egli ha posto a salvezza. / Aprite le porte: / entri una nazione giusta, / che si mantiene fedele. / Confidate nel Signore sempre, / perché il Signore è una roccia eterna. / Il sentiero del giusto è diritto, / il cammino del giusto tu rendi piano. / Sì, sul sentiero dei tuoi giudizi, / Signore, noi speriamo in te; / al tuo nome e al tuo ricordo / si volge tutto il nostro desiderio. / Farò di rubini la tua merlatura, / le tue porte saranno di berilli, / tutta la tua cinta sarà di pietre preziose. / Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore, / grande sarà la prosperità dei tuoi figli; / sarai fondata sulla giustizia».

[oppure Lettura del libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo 21, 9a. c-27
Nel giorno del Signore, venne uno dei sette angeli e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello». L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro per misurare la città, le sue porte e le sue mura. La città è a forma di quadrato: la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: sono dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono uguali. Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall’angelo. Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. I basamenti delle mura della città sono adorni di ogni specie di pietre preziose. Il primo basamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta era formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente. In essa non vidi alcun tempio: / il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello / sono il suo tempio. / La città non ha bisogno della luce del sole, / né della luce della luna: / la gloria di Dio la illumina / e la sua lampada è l’Agnello. / Le nazioni cammineranno alla sua luce, / e i re della terra a lei porteranno il loro splendore. / Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, / perché non vi sarà più notte. / E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni. / Non entrerà in essa nulla d’impuro, / né chi commette orrori o falsità, / ma solo quelli che sono scritti / nel libro della vita dell’Agnello.]

SALMO
Sal 67

® Date gloria a Dio nel suo santuario.
Appare il tuo corteo, Dio,
il corteo del mio Dio, del mio re, nel santuario.
Precedono i cantori, seguono i suonatori di cetra,
insieme a fanciulle che suonano tamburelli.
«Benedite Dio nelle vostre assemblee,
benedite il Signore, voi della comunità d’Israele». ®

Mostra, o Dio, la tua forza,
conferma, o Dio, quanto hai fatto per noi!
Per il tuo tempio, in Gerusalemme,
i re ti porteranno doni.
Regni della terra, cantate a Dio,
cantate inni al Signore. ®

Riconoscete a Dio la sua potenza,
la sua maestà sopra Israele,
la sua potenza sopra le nubi.
Terribile tu sei, o Dio, nel tuo santuario.
È lui, il Dio d’Israele, che dà forza e vigore al suo popolo.
Sia benedetto Dio! ®

EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 3, 9-17

Fratelli, siamo collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 10, 22-30

In quel tempo. Ricorreva a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
17/10/2009 14:14

Commento al Vangelo del 18 ottobre
Una festa per tutti
Dedicazione del Duomo di Milano
16.10.2009
di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, Milano


Il 20 ottobre 1577 san Carlo consacrava il nostro Duomo: da allora la terza domenica di ottobre è festa della dedicazione ovvero della consacrazione del Duomo. I lavori erano iniziati intorno al 1386 e saranno conclusi con la facciata solo nel 1814. Più di quattrocento anni per quella che giustamente i milanesi chiamano la “fabbrica del Duomo”.
Davvero non è possibile pensare Milano senza il suo Duomo. Basta dare un’occhiata alla pianta della città costruita su quattro cerchi concentrici: la cerchia dei Navigli, quella delle Mura spagnole e delle Porte, quella dei grandi viali periferici, pensiamo a viale Romagna, e infine la Tangenziale. Il centro di questi quattro cerchi è il Duomo e la sua piazza e infatti gli eventi decisivi per la vita della città, siano essi religiosi o politici, sportivi o spettacolari hanno nella piazza del Duomo il loro spazio naturale.
Questa festa della chiesa cattedrale ci invita a riflettere sulla chiesa diocesana. Quando diciamo “chiesa” istintivamente il nostro pensiero corre a Roma, alla basilica di san Pietro. Nell’immaginario collettivo quella sarebbe la chiesa per eccellenza con le sue filiali, le diocesi e le relative chiese cattedrali nelle diverse città di tutto il mondo. Quando diciamo “chiesa” il pensiero corre istintivamente al papa Benedetto, vescovo di Roma che invierebbe i vescovi quali suoi rappresentanti nelle diverse diocesi o chiese locali. Questo modo di considerare la chiesa diocesana come propaggine o filiale periferica di una chiesa centrale, quella romana, non è corretto. I vescovi non sono come i Prefetti che il governo centrale invia a presidiare il territorio. La chiesa si realizza anzitutto e pienamente là dove un vescovo, successore degli Apostoli, raduna una comunità con l’annuncio dell’Evangelo e con la celebrazione dell’eucaristia. Allora lì nasce la chiesa nella sua pienezza, non una succursale, una propaggine, una filiale, una agenzia periferica dell’amministrazione centrale.

Fieri della nostra chiesa

Come scrive il Concilio: “In queste comunità, le diocesi, sebbene spesso piccole e povere e disperse è presente Cristo, per virtù del quale si raccoglie la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica” (Lumen gentium 26). Per noi che viviamo in questo territorio la Chiesa è questa santa chiesa ambrosiana. Chiesa di Dio che è a Milano, secondo una dizione antica e che efficacemente esprime il realizzarsi del mistero della chiesa in un determinato luogo. Certo la chiesa diocesana non deve vivere nell’autosufficienza o nell’isolamento ma solo nella comunione con tutte le altre chiese e anzitutto con quella di Roma, sede di Pietro e dei suoi successori.
Oggi siamo fieri di appartenere a questa grande chiesa milanese, alla sua tradizione religiosa resa grande da straordinarie figure di Pastori come Ambrogio e Carlo, come i cardinali Ferrari, Schuster, Montini, Colombo e Martini. Dobbiamo esser fieri d’avere oggi come pastore il cardinale Dionigi Tettamanzi.
Della pagina evangelica che la liturgia ci propone sottolineo sei verbi che descrivono l’atteggiamento del pastore, quello delle pecore e infine la qualità della relazione tra pastore e pecore. Per noi ormai inesorabilmente lontani dalla civiltà agro-pastorale questa suggestiva metafora pastore-pecore rischia d’essere sempre meno evocativa o peggio suggerisce atteggiamenti niente affatto apprezzabili. Dire di un insieme di persone che è gregge comporta una connotazione francamente sgradevole. Gregge è per noi sinonimo di passività, di piatto conformismo, di assenza di iniziativa. E anche la pecora evoca caratteristiche piuttosto sgradevoli. Dire allora della chiesa come gregge rischia di suggerire tutte quelle caratteristiche passive, gregarie che certo non fanno piacere. Ricordo mio padre che era solito ripetere: meglio un giorno da leoni che cento da pecora.

Il Pastore dà la vita

Ma se ci lasciamo guidare dai verbi di questo testo evangelico scopriamo che la relazione pastore-gregge è relazione densa di valore, niente affatto passiva e gregaria ma intensa e coinvolgente. Il Pastore conosce le pecore e dà loro la vita. Sappiamo come nel linguaggio della Bibbia conoscere sia verbo della relazione più intensa e coinvolgente dell’uomo e della donna, relazione che non mette in gioco solo l’intelligenza ma tutta la persona compreso il suo corpo. Esser conosciuti dal pastore vuol dire entrare in una relazione che ci coinvolge interamente con tutte le fibre della nostra umanità. Dio ci conosce come un uomo conosce la sua donna perché ha con lei una comunione di vita totale, senza riserve. E il Pastore conosce fino a dare la vita. Questa è la caratteristica del Pastore a differenza del mercenario. E le pecore ascoltano e seguono. Non semplicemente vanno dietro, ma ascoltano, cioè accolgono attivamente, consapevolmente. Non c’è niente di passivo e di gregario nel comportamento di questo gregge. Un gregge intelligente. L’ascolto è il primo atteggiamento del credente. Non a caso la preghiera più cara alla tradizione ebraica inizia proprio con questo imperativo: Ascolta Israele (Dt 6,4ss). E le pecore seguono, un verbo questo che indica la sequela, la libera scelta di rispondere alla chiamata e così diventar discepoli. E infine questa relazione di reciprocità tra pastore e pecore crea una appartenenza che niente potrà distruggere, nessuno potrà rapire le pecore dalla mano del pastore al quale sono affidate.
Questa stupenda avventura d’esser conosciuti da Dio, ascoltarne le parole e seguirlo è stata possibile e continua ad esserlo per noi proprio grazie a questa santa chiesa ambrosiana, alla sua secolare storia di fede, agli uomini e alle donne che qui, nel grembo di questa madre chiesa, hanno accolto e trasmesso l’Evangelo, lo hanno vissuto e come materializzato nella stupenda “fabbrica del Duomo”.
C’è un modo di dire tipicamente milanese: quando un’opera, per esempio la costruzione di un edificio va per le lunghe e non finisce mai si dice che è come la fabbrica del Duomo. E questo è vero per il Duomo sempre in perenne restauro. Ma anche la costruzione della chiesa-comunità dei credenti è un vera e propria “fabbrica del Duomo”, un impegno per ogni generazione e per ognuno di noi.
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