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IX Domenica dopo Pentecoste

Ultimo Aggiornamento: 01/08/2009 20:07
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01/08/2009 20:07

Commento al Vangelo del 2 agosto
Seguire Gesù e l’evangelo
IX Domenica dopo Pentecoste 
31.07.2009
di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, Milano


Nell’evangelo di questa nona domenica c’è un piccolo ma prezioso dettaglio ripreso due volte. Gesù dice: «Chi perderà l’anima sua per me e per l’evangelo…» e poco oltre: «chi si vergognerà di me e delle mie parole…». Due volte Gesù unisce la sua persona all’evangelo, alle sue parole: la sua causa è la causa dell’evangelo, decidersi per le sue parole vuol dire decidersi per lui. Questa identificazione è decisiva per il nostro cammino di fede: il primo accesso privilegiato alla persona di Gesù è attraverso le sue parole, grazie all’evangelo. Se vogliamo seguire Gesù ci è data una via sicura rappresentata dalle sue parole. La distanza che il tempo inesorabile ha scavato tra il suo tempo e il nostro può esser superata grazie all’ascolto delle sue parole: Gesù diviene nostro contemporaneo. Possiamo così comprendere la parola di quel grande studioso delle Scritture, san Girolamo: «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo». E’ stato grande merito del Concilio restituire alla liturgia della Parola il suo pieno valore: la mensa della parola, non diversamente dalla mensa del pane eucaristico ci dona la vera, misteriosa presenza del Signore, perché quando nell’assemblea cristiana si apre il libro delle Scritture è Cristo stesso che ci parla. E un bacio suggella la proclamazione dell’Evangelo nella liturgia. Un bacio, come a sottolineare che non di una cosa si tratta, di un libro sacro, ma dell’incontro con la persona di Gesù che attraverso la sua Parola non solo ci istruisce ma più profondamente a noi si comunica prima di comunicarsi a noi mediante il pane spezzato. Sulla via di Emmaus, prima di svelarsi ai due discepoli nel gesto di spezzare il pane, Gesù si manifesta attraverso la parola che dischiude l’intelligenza delle Scritture. E infatti il loro cuore viene invaso dall’emozione mentre il misterioso compagno di strada parla con loro lungo la strada: «Non ci ardeva il cuore nel petto mentre lungo la via ci spiegava le Scritture?».

Anima e corpo

La lettura personale e soprattutto quella liturgica delle Scritture è quindi incontro con la persona di Gesù e non solo trasmissione di contenuti conoscitivi, è vera e propria esperienza di fede. Ancora il Concilio ci ricorda che credere è abbandono - anche questo termine ha una intensa valenza personale - a Dio che si rivela. Non dirò mai che “mi abbandono” alla lettura di un testo: “mi abbandono” nelle braccia di una persona amata. Nel testo odierno un termine ritorna ripetutamente: anima. Salvare l’anima, perdere l’anima, niente vale più dell’anima… Siamo abituati ad usare questo termine in opposizione a quello di corpo, privilegiando la dimensione spirituale della persona a scapito della sua corporeità. Ma non dimentichiamo che nella cultura ebraica questa divisione-opposizione corpo-anima non esiste e che la persona è tutt’uno, unità profonda di dimensione spirituale e materiale.

Perdersi per ritrovarsi

Anche la nostra esperienza lo conferma, non c’è infatti atto umano per quanto intensamente spirituale che non abbia anche una connotazione materiale. Pensiamo all’amore umano che si esprime attraverso gesti materiali carichi di tenerezza, nel trasalire dei corpi. Salvare l’anima non vuol dire evadere dalla nostra corporeità in una fuga spirituale. Salvare l’anima vuol dire salvare l’intera persona nel suo nucleo centrale e decisivo - l’anima - là dove la persona esercita la sua libertà. E salvare l’anima, ci dice l’Evangelo, vuol dire perderla. Sembra un paradosso: io realizzo pienamente la mia esistenza solo donandola, perdendola nel dono incondizionato. Chi, al contrario vuole salvarsi, chiudendosi a riccio su se stesso, possedendosi gelosamente, si perderà. Anche questa è esperienza umana quotidiana: solo nell’apertura verso l’altro, solo nel dono di sé, solo nel dialogo confidente c’è pienezza di vita, appunto salvezza dell’anima. Non è forse questo il senso della vita di Gesù, venuto non per esser servito ma per servire e dare la sua vita per…? E la croce è la cifra suprema di una esistenza donata: «Avendo amato i suoi li amò fino al segno supremo… Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per…».Tutta la nostra persona è chiamata a seguire il Signore sulla via del dono di sé: questo e solo questo è l’Evangelo.
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