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Lettura del primo libro dei Re. 18, 16b-40a

Il profeta Elia è ricercato da Acab, il re del Regno d’Israele, poiché rimprovera ad Elia una carestia terribile che affama il paese ormai da tre anni. Elia risponde che la colpa è del re e della sua famiglia. In particolare ricorda la moglie Gezabele che si è fatta ardente e tenace missionaria della religione dei Fenici ed ha diretto con ostinazione la lotta contro la religione d’Israele. Elia lancia una sfida e chiede che il re raduni tutto Israele sul monte Carmelo, insieme con 450 profeti di Baal e 400 profeti di Asera, che mangiano alla tavola di Gezabele e perciò da lei sovvenzionati.

Il monte Carmelo è un luogo particolarmente caro e adatto ai vari culti che si sono succeduti.

Elia, coraggiosamente, affronta, da solo, la religiosità paganavincente poiché vuole riconquistare il popolo alla fedeltà di Dio.

Ci potrebbe essere anche un certo parallelismo di immagine con l'assemblea di Sichem dove Giosuè, arrivato, finalmente, nella terra promessa, decide di riproporre e di accettare l’Alleanza,.

Prima di dividersi sul territorio, le varie tribù, riunite tutte, proclamano anch’esse l'impegno dell'alleanza, imitando Giosuè stesso (Giosuè cap 24).

Elia è sicuro nella propria fede e quindi utilizza l'ironia sulla fede pagana, rilevando l’atteggiamento di alcuni convinti e di molti rassegnati.

Sono previsti, in pratica, i due sacrifici fondamentali che si celebrano in Israele.

Quello del mattino viene desiderato dai sacerdoti di Baal. E tuttal’impetrazione si allunga ben oltre il mezzogiorno.

L’offerta del pomeriggio viene lasciata ad Elia.

Anche i preparativi, che Elia organizza, tendono ad ostacolare il fuoco sui sacrifici degli animali uccisi perché potesse risplendere

meglio la potenza di Dio. Il miracolo si compie immediatamente e non solo consuma l'olocausto ma anche tutto quello che era

stato organizzato per l'occasione, compreso le pietre dell’altare.

Finalmente il popolo accetta di fare la sua scelta, tornando all'antica fede. Così il profeta ha raggiunto il suo scopo, ma ritiene che dopo la convinzione bisogna distruggere. Il seguito, drammatico, della storia di Elia lo convincerà che questa non è la scelta di Dio.

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani. 11, 1-15

Il dramma che Paolo continuamente ha nel cuore è constatare che il popolo d'Israele, nel suo insieme, non ha riconosciuto Gesù

come il Messia.

E, d'altra parte, si rende anche conto che il messaggio di Gesù è un messaggio che non si può restringere solo al popolo d'Israele ma, nella sua dinamica, è aperto a tutto il mondo.

In questo capitolo c’è la domanda fondamentale che angoscia Paolo: "Allora, Dio ha ripudiato il suo popolo?".

La risposta è nel cuore sulla bocca di ogni israelita: Dio non ha ripudiato il suo popolo perché Egli è fedele.

Il ricordo, ovviamente, ritorna alla solitudine del profeta Elia.

Egli, unico di fronte alla corte e a centinaia di sacerdoti del re e del culto pagano di Gezabele, coraggioso ma anche deluso e

successivamente titubante, credeva di essere abbandonato e che fosse crollata tutta l’Alleanza. Allora il Signore gli ha svelato

l’esistenza e la scelta di 7000 uomini "che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal" (1 Re 19,18).

Solo il Signore conosce, sotto situazioni che appaiono perdenti o insignificanti, progetti grandiosi e rivincite sul male inimmaginabili.

L'avere accettato questa defezione del mondo ebraico, pensa Paolo, ha permesso alle genti di ritrovare la ricchezza di Dio che

si è aperta a tutti. Alla fine, poiché Dio è fedele sempre, ci sarà come una risurrezione di tutti coloro che non hanno accettato

Gesù e, però, lo scopriranno nella pienezza della luce e nella riconciliazione totale del mondo.

Lettura del Vangelo secondo Matteo21, 33-46

Nel racconto della parabola dei vignaioli ci sono molti richiami al "canto della vigna" che il profeta Isaia sviluppò per raccontare

il conflitto, sorto fra Dio e il suo popolo. E nel giudizio istruito dal Signore, il popolo stesso fu chiamato ad essere, insieme,

imputato, testimone e giudice (Isaia 5,1-7).

"Or dunque, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siete voi i giudici tra me e la mia vigna" (5,3): è il canto della libertà amorosa di Dio e della risposta libera dell’uomo, dell'amorevolezza e del rifiuto.

Qui, tuttavia, cambiano i personaggi. In Isaia centro della parabola era Dio e la vigna produceva frutti acerbi, qui il centro è costituito da Dio che chiede conto ai suoi dipendenti che non accettano di essere riconosciuti responsabili di un lavoro e quindi della consegna di quello che hanno prodotto.

Al tempo della vendemmia il padrone manda i suoi servi (i profeti) in due invii successivi (potrebbero identificarsi quelli viventi prima e dopo l'esilio di Babilonia).

Alla fine il padrone manda il figlio suo perché continua a sperare il recupero di queste persone che ha sempre amato e onorato.

Attraverso la consapevolezza e la responsabilità, egli spera in una soluzione positiva. Eppure, alla vista del figlio, i vignaioli ribelli non solo continuano nella rivolta, ma sviluppano anche l'ingordigia e l'ostinazione di restare soli, soprattutto padroni, senza dover rendere conto a nessuno.

Così anche il figlio viene ucciso, ma fuori dalla vigna.

E qui chiaramente Matteo, in trasparenza, fa ripensare alla vigna come a Gerusalemme, e la morte, fuori della vigna, come al richiamo che spesso nel Vangelo ritorna: Gesù , espulso dalla sua città, è ucciso.

Gesù, nel racconto, interpella i suoi interlocutori che arrivano a sentenziare la condanna a morte. Ma Gesù non conclude sulla vendetta. Garantisce solo che, nonostante le apparenze, esiste in sostenere edifici e di stritolare nazioni. Egli non si lascia annientare, anche se agli occhi di tutti Gesù fallirà morendo in croce.

Eppure Gesù non parla di vendetta. Semplicemente svela il passaggio di eredità, o meglio di scelte e di nuovi collaboratori perché la vigna dia frutto.

L'uditorio qualificatissimo, sommi sacerdoti ed anziani del popolo, ha capito il messaggio e il presagio che li spaventa. Non si rendono conto, però, che stanno letteralmente mettendo in scena la stessa tragedia nel loro mondo.

Gesù non si lascia provocare, poiché deve testimoniare la stessa disponibilità del Padre che manda il figlio. Sembra che ci sia una forte dose di ingenuità eppure è la disponibilità, consapevole, d’altra parte, di un futuro che impegnerà un’infinita dote di misericordia

Da Caritas in veritate n 1 (Benedetto XVI 29 giugno 2009) Lettera enciclica sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità. "Questa, infatti, « si

compiace della verità » (1 Cor 13,6). Tutti gli uomini avvertono l'interiore impulso ad amare in modo autentico: amore e verità non li abbandonano mai

completamente, perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo. Gesù Cristo purifica e libera dalle nostre povertà umane la ricerca

dell'amore e della verità e ci svela in pienezza l'iniziativa di amore e il progetto di vita vera che Dio ha preparato per noi. In Cristo, la carità nella verità diventa

il Volto della sua Persona, una vocazione per noi ad amare i nostri fratelli nella verità del suo progetto. Egli stesso, infatti, è la Verità (cfr Gv 14,6)".